“F” come febbraio, come il mio nome, come quella cosa che si chiama felicità che tutti (in)seguiamo e che sembra nascosta, ma solo perchè a volte la cerchiamo nei posti sbagliati.
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Settembre sta scivolando via come le maree che ho visto questo agosto in Normandia, quando si ritraggono piano e lasciano scoperta la sabbia. Millimetro dopo millimetro, l’acqua indietreggia e svela, rivela. Orme, legnetti, conchiglie, solchi, residui di qualcosa che vuole (re)stare lì e lasciare una traccia.
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Sono belle le donne che sorridono, che aprono le labbra come ante di una finestra su un mondo che si guarda come fosse la prima volta. Sono belle quando liberano quel sorriso, nell’attimo in cui sboccia e il volto s’illumina, cambiando espressione.
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È particolare la luce di maggio. Di questo maggio. Non si lascia afferrare facilmente, gioca più del solito. Più che farsi trovare, vuole essere colta. Seguita. Forse capita, forse solo semplicemente amata. Così come è.
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Quando un anno intero sta tramontando, c’è un rito simbolico che amo fare: il “rito del setaccio”, così l’ho chiamato. Trovo sia più utile di bilanci e somme finali, oltre che più concreto: si vede davvero ciò che resta, dei mesi che ci stiamo lasciando alle spalle.
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“Ada sa che ci sono cose che, quando iniziano, fanno rumore. E quando sente quel rumore, si ferma e ascolta. Ascolta il rumore delle cose che iniziano. (…) … e, per distinguere le cose che finiscono da quelle che iniziano, aveva imparato a stare attenta. Aveva capito che le cose, quando finiscono, lo fanno in silenzio. Mentre…
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Tra fine marzo e inizio aprile, le aspetto ansiosa. So che torneranno, che non si faranno desiderare invano, che sanno regalare il piacere delle piccole certezze che rendono un po’ più profumato il qui e ora.
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Indovinami, indovino, tu che leggi nel destino: l’anno nuovo come sarà? Bello, brutto o metà e metà?
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Mi piace immaginare il mese di giugno come una chiave, di quelle un po’ antiche e robuste, in ferro battuto, con l’estremità ricamata: apre il portone dell’estate con un dolce cigolio, apre il cassetto delle emozioni sopite, apre il mobile dove abbiamo messo la scorta dei sorrisi tenuta da parte per i momenti più duri.
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Le giornate a volte mi sembrano una combinazione di incastri da trovare come quando mi incaponivo con il cubo di Rubik e restava fuori sempre la casella verde, oppure quando provavo a finire quei puzzle da 2000 pezzi con mia nonna che mi diceva “Inizia dai bordi, che è più facile”. Mi piaceva farli seduta…